Ecce Uomo (33+1) artisti contemporanei da collezioni private a Milano
Milano, Spazio Oberdan
21 marzo – 21 maggio 2006
a cura di Gemma de Angelis Testa e Sergio Risaliti
L’esposizione, curata da Gemma De Angelis Testa (Presidente di ACACIA) e Sergio Risaliti (Direttore di Quarter, Firenze), affronta il tema universale e senza tempo del dolore e della sua rappresentazione nelle opere degli artisti contemporanei: un progetto dedicato alla condizione umana oggi.
Con questa mostra, lo Spazio Oberdan accoglie opere di artisti affermati, ponendoli a confronto con quelle di giovani emergenti. Tutte le opere esposte provengono dalle collezioni private di ACACIA, associazione sorta su iniziativa di Gemma De Angelis Testa nel 2003, che ad oggi raccoglie un centinaio di soci.
L’iniziativa rientra nel progetto “InContemporanea. La rete per l’arte” con cui la Provincia di Milano intende promuovere l’arte contemporanea intesa come risorsa utile alla crescita del territorio, non solo dal punto di vista culturale ma anche sociale ed economico. Tra gli obiettivi sono, infatti, la valorizzazione delle realtà esistenti sul territorio e la diffusione di una cultura del contemporaneo.
Il titolo, “Ecce Uomo”, è stato scelto perchè richiama una riflessione sulla tradizione iconografica dell’Ecce Homo, valorizzando però l’accezione di attualità e contemporaneità delle opere scelte, senza per questo dissociarsi dalla potenza evocativa del significato originario. Il compito di mostrare il corpo dolorante degli uomini è affidato allo sguardo lucido dell’artista e alla sua capacità di cogliere e mettere in evidenza gli aspetti più schiaccianti della realtà.
La tematica é strettamente connessa al tempo biologico, al tempo interiore e non é solo la rappresentazione del dolore in senso didascalico, ma qualcosa di mentale, che ognuno ricollega alla propria relazione con la vita, alla propria linea d’ombra, della quale si fa portatore l’artista. Le collezioni private rappresentano un patrimonio di arte contemporanea importante, un museo privato diffuso, e a volte segreto, che conserva e tutela opere di eccezionale valore e significato. La funzione del collezionismo non si esaurisce nell’esercizio di un proprio gusto, non inizia e termina all’interno della propria dimensione privata e quando si apre all’esterno e si crea un gruppo filantropico vi si legge quella sensibilità al sociale che i francesi chiamano mission pubblique, una visione di più ampio respiro, che vede nell’impegno a fare promuovere e conservare cultura contemporanea una delle naturali deviazioni della propria storia personale.
I collezionisti di Acacia, che non a caso è nata a Milano, città di spirito europeo e di cultura illuministica, riunendosi in un’associazione senza finalità di lucro hanno maturato in sè il germe della condivisone con gli altri e del mecenatismo pubblico. La mostra raggruppa, dopo attenta e meditata selezione, circa sessanta opere di artisti contemporanei, portando alla luce un florilegio di capolavori, ma soprattutto un gruppo di opere significative che, nell’ambizione dei curatori, possono parlare all’uomo contemporaneo mettendolo di fronte al suo doppio esistenziale. Da sempre condannatosi a vivere facendo esperienza del male e della violenza, l’uomo non può che fare incondizionatamente l’esperienza più penosa e insopportabile: la morte di sé e dell’altro. Dolore supremo, che struttura sia biologicamente che culturalmente l’essere umano: se c’è l’uomo – potremmo dire – ecco la morte.
Molte opere d’arte esprimono questa soverchia vicinanza con l’angoscia, anche quando indugiano su fatti dolorosi, violenze, sofferenze, disagi, forme di depressione e malinconia, paure e spasmi, perfino sul massimo annichilimento dell’esistenza che è la riduzione dell’uomo, del suo corpo e della sua sessualità, a cosa, a scarto di cosa o a pura merce di scambio.
Così si spiega il perché di un titolo come “Ecce uomo” al posto dell’Ecce Homo. Perché semplicemente Dio è morto e l’uomo, almeno da un secolo, prova l’angoscia e ogni forma di violenza vivendo nichilisticamente l’oblio del divino. Da cui la sua solitudine di fronte al Male e alla Fine, alla pura violenza e all’abiezione, quando a nulla valgono le rassicuranti parole della scienza e della tecnica, le leggi del diritto e quelle della morale. “Ecce uomo” è allora non solo una mostra sull’angoscia e il dolore, ma anche un modo di interrogarsi sulla relazione tra eros ed ethos.
Frugando e scegliendo tra le centinaia di opere collezionate da un gruppo nutrito di amanti dell’arte contemporanea, può accadere di recuperare, tra tanti possibili, un soggetto forte. Tra tutti i temi possibili è stato scelto questo dell’umanità dolente, angosciata, sofferente, perché oggi l’arte può e deve parlare di nuovo al cuore della gente, ricucendo in modi non più disincantati e provocatori il suo rapporto con la vita e con la storia, con il divenire e l’assoluto. Ripescando una delle iconografie più note della Passione di Cristo e offrendone un aggiornamento iconologico, l’uomo di dolore oggi è l’uomo e basta. È umanità nuda e disarmata alla ricerca di qualcosa o qualcuno che la possa salvare dalla disumanizzazione. Ecco l’uomo allora che – se ha imparato presto a subire violenze, ingiustizie, persecuzioni, malattie, mutilazioni, soprusi, offese – eredita ontologicamente uno stato angoscioso soverchiante i sentimenti o le sensazioni quotidiane. Se ogni evento è un dramma in sé, l’uomo è il più tragico degli accadimenti.
In mostra, seguendo un allestimento poetico, concepito a gruppi tematici, per consonanze, suggestioni, contrappunti, quella che avanza dal fondo segreto del linguaggio artistico è una specie di via dolorosa. Laddove ogni tappa funziona come parte di una visione generale e come frammento compiuto.
La nuda vita dell’anima del mondo che si dispiega davanti a noi immensa, sovrumana, profonda come un grande mare immerso nella sua altissima quiete.
E’ sempre l’uomo solo, errante, vilipeso, esausto che patisce il semplice fatto di essere sulla terra e a questo dolore cerca risposte, vie d’uscita, rimedi e panacee.
Adrian Paci, Turn on, 2004.